Pubblicazione dell’Associazione per l’Interscambio Culturale Italia Brasile Anita e Giuseppe Garibaldi

Soliti barbari e nuovi problemi: l’Italia ha bisogno di una svolta

por andrea em domingo, 24 de outubro de 2010 às 12:22 Soliti barbari e nuovi problemi: l’Italia ha bisogno di una svolta

L’Italia è oramai allo sbando. È impossibile perfino fare previsioni. Può succedere di tutto. Io non ricordo una situazione simile. Il fatto dominante continua ad essere il disfacimento del blocco di destra che si era raccolto intorno a Berlusconi. Le forze moderate si stanno via via distaccando da quelle più aggressive e reazionarie. Nasceranno nuovi partiti. Se ci poniamo in una prospettiva (sia pure minimamente) storica risulta chiaro che questo processo origina da molte fattori. Ma essenzialmente da uno sulla quale non si sta riflettendo abbastanza. È il fallimento della risposta berlusconiana a quella che è stata e resta la sfida principale che da almeno un ventennio incombe su tutte le forze politiche sociali e ideali italiane, noi compresi: come ridefinire una nuova idea d’Italia che ne salvaguardi il futuro. In questi anni si è parlato di tante cose, di nuovi Ulivi, di partiti dell’amore, di candidature, di “papi stranieri”. Ma adesso emerge la sostanza vera, non politologica di questa sfida storicamente nuova e terribilmente difficile. Essa consiste nel come ripensare la struttura di una grande nazione che rischia di perdere la sua unità e di entrare così in una lunga fase di decadenza (il ‘600), non riuscendo più a far fronte all’enorme sconvolgimento geopolitico e geo-economico che è in atto a causa della mondializzazione. In ciò sta l’estrema pericolosità della situazione. E dopo tante chiacchiere, pettegolezzi e scandali sarebbe bene convincersi che dopotutto, anche Berlusconi ha fallito per la ragione molto seria che la sua ricetta politica non ha funzionato. Parlo del “liberismo all’italiana” che poi è la cultura di base delle nostre classi dirigenti (in parte anche di sinistra) in quel misto di arte d’arrangiasi, di egoismo sociale, di disprezzo per lo Stato e per il popolo lavoratore, di propensione a culture clientelari e di tipo mafiose (i “salotti buoni”, le consorterie). Un gigantesco armamentario che non solo non poteva più funzionare nel mondo del 2000 ma che ha coperto di macerie questo Paese. Macerie, ma sopratutto fratture profonde che sono ormai tali da cambiare il senso stesso della politica ponendola di fronte al dilemma: o ridursi a piccola struttura localistica e clientelare, oppure il luogo che elabora una grande proposta su cui rifare l’unità degli italiani. Guardiamo bene a cosa significa la frattura tra Nord e Sud che diventa incolmabile, oppure alle tragiche conseguenze per le classi popolari di una divisione sindacale che è alimentata dallo stesso ministro del lavoro. Qui sta il difficile problema del Pd: essere percepito di più come la sola alternativa credibile. Io ho fiducia, purché sia chiaro il punto: alternativa rispetto a che cosa? Si parla tanto del “nuovo”. Ebbene, mi chiedo se ci rendiamo conto della vera novità dei problemi italiani e della loro estrema difficoltà. Siamo ormai al dunque. Detto molto semplicemente, questa Italia, se resta così com’è, è a rischio di sopravvivenza. Dunque, se non ora quando ci decideremo ad essere quel “partito nazionale” la cui mancanza è il grande limite del sistema politico attuale che non a caso ha prodotto il leghismo? E se non ora quando diventeremo meno partigiani, meno legati a storie passate e diremo agli italiani che creano, pensano e lavorano che la ragione per cui essi hanno bisogno del Pd è che hanno bisogno di una forza federatrice, unitaria, meno di parte, più inclusiva? E che questo bisogno nasce dal fatto che assistiamo alla rottura di un “ordine” secolare e che il mondo in cui viviamo è a rischio? Pensiamo alle enormi difficoltà che sta incontrando Obama. La verità è che non è chiaro per niente se, e come, si uscirà dalla crisi catastrofica del capitalismo finanziario. Altro che crisi della sinistra. La grande crisi riguarda l’ordine del capitalismo quale abbiamo conosciuto finora. Chi pagherà i costi colossali dei deficit pubblici crescenti provocati, non dai bisogni della gente, ma dal dover pagare le follie delle banche, il saccheggio che hanno compiuto del risparmio mondiale? Ci sarà – come altre volte nella storia – una colossale inflazione che ridurrà alla miseria masse di lavoratori a reddito fisso? Oppure l’oligarchia attuale sconta una lunga fase di crescita quasi zero in Europa e in Usa e, quindi di disoccupazione organica, e quindi di creazione di società, castali, come nel Medioevo: la società dei cavalieri e quella dei senza diritti. Insomma, accettare diversi destini dell’uomo. La Padania contro il Mezzogiorno e milioni di emigrati trattati come schiavi senza diritti, la civiltà del lavoro, la dignità dell’operaio disprezzata e umiliata. Il sindacalista Bonanni che merita tutta la solidarietà per gli insulti che riceve ma che non può fare la vittima e gridare 10, 100, 1000 Pomigliano esaltando così il contratto separato e dividendo gli operai come nemici. Finalmente è venuto all’ordine del giorno il problema dell’uguaglianza e del conflitto sociale. Ma, attenzione, in modi assai diversi dal passato. Il più grande errore del Pd sarebbe quello di non pensare, in questa dimensione, il suo ruolo storico e la sua politica. Noi non siamo un sindacato. Ma proprio perché non lo siamo (ed è per questa semplicissima ragione che nemmeno il Pci di Berlinguer aderiva come tale ai cortei sindacali) dovremmo cominciare a porci quello che ritengo il problema dei problemi. Dove stanno le forze e i soggetti di un nuovo antagonismo, nuovo anche rispetto alle esperienze del movimento operaio storico? La complessità sociale ha in parte svuotato l’antico conflitto salario-profitto, proprietà-espropriazione dei mezzi di produzione. È tempo quindi di individuare le forze e le nuove alleanze capaci di arrestare la degenerazione barbarica della società occidentale. Come dice Salvatore Biasco, dal momento che le culture individualistiche sono penetrate così in profondità, “l’alterità sociale” non diminuisce ma si mescola a una nuova idea di società inclusiva. Il che vuol dire che la battaglia per l’eguaglianza si dovrà combattere più di prima sul piano culturale e dell’egemonia, elaborando nuove culture solidaristiche e comunitarie, di moralità e responsabilità sociale. Di qui il suggerimento di pensare i partiti democratici come partiti, non solo di insediamento sociale, ma luoghi di sintesi della società, organizzati attorno a una idea del bene comune, di cui la giustizia sociale è parte essenziale. Non vorrei spaventare con questi ragionamenti alcuni amici del Pd i quali vivono nel terrore di “morire socialisti”. Si calmino. La cosa mi sembra estremamente improbabile. Però è vero che militando nel Pd essi possano trovarsi in mezzo a conflitti reali anche aspri. Si consolino. Le alternative pensabili evocano sempre più il bisogno di schieramenti ben più larghi di quelli classisti e – come ho detto – spingono a pensare a un nuovo umanesimo. Non a caso a me capita di leggere con sempre maggiore interesse documenti tipo quello della «Settimana sociale» dei cattolici. Ne ricavo che se un partito come il Pd non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Sapendo che in esso c’è posto, non solo per Bonanni, ma anche per il cardinale Martini.

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