La guerra di Cristina
por andrea em quarta-feira, 8 de setembro de 2010 às 22:17
La lotta senza esclusione di colpi nell’Argentina della dittatura militare per il controllo della fabbrica produttrice di carta per i giornali. Morti misteriose desaparecidos, torture,ricatti, minacce. Era il ’76-’77 ma tornano in superficie oggi con violenza dirompente nel contrasto mortale fra la presidenta e il poderoso gruppo mediatico del Clarín.
L’ Argentina si sta scannando su una storia truculenta avvenuta 33 anni fa. Una storia che oggi, nonostante sia passato tanto tempo, può decidere la sorte dello scontro a morte fra la presidente Cristina Kirchner e il gigante multimediale Clarín, nucleo duro dell’opposizione al governo peronista di centro-sinistra.
Lidia Papaleo de Graiver fu «risucchiata» dalla dittatura militare il 14 marzo 1977. Subì torture che le spezzarono le ossa. Fu ripetutamente violentata. I suoi torturatori del lager clandestino di Puerto Vasco la chiamavno «l’impura» perché aveva sposato un ebreo. Uno di loro si masturbava e eiaculava sul suo corpo sanguinate per le bruciature inferte dalla picana elettrica. I colpi alla testa le provocarono un tumore e dovette essere operata durante la prigionia. Ma sopravvisse. Fu liberata nell’82, il penultimo anno della dittatura. Da allora ha mantenuto un profilo rigorosamente basso. Fino a pochi mesi fa.
David Graiver, suo marito, era morto nell’agosto del ’76, quando era precipitato l’aereo privato che lo portava in Messico. Secondo versioni attendibili, non fu incidente. Graiver era un imprenditore da 200 milioni di dollari dell’epoca, con interessi, fra gli altri, in banche dell’Argentina e degli Stati uniti. Era in prima fila nella lotta per la guida dell’imprenditoria argentina. Ma anche i Montoneros, la guerriglia della sinistra peronista, gli avevano affidato la gestione di parte della fortuna ricavata da sequestri ed estorsioni. David Graiver era, come si legge in un libro del giornalista ed ex-guerrigliero Juan Gasparini, «il banchiere dei Montoneros». Tuttavia, l’imprenditore manteneva qualche legame con la dittatura del generale Jorge Rafael Videla.
Il gruppo Graiver aveva fra i suoi asset due imprese-chiave che ai militari interessavano molto. La Opinión, un giornale liberale che appoggiò il golpe del marzo ’76 però cominciò subito dopo a protestare per i desaparecidos e Papel Prensa, l’impresa monopolistica di produzione della carta per i giornali. La Opinión fu neutralizzata facendo sparire giornalisti e occupandola militarmente. Papel Prensa richiedette un’operazione più complessa ma alla fine si ritrovò nella mani di Clarín; del suo principale concorrente ma socio nell’appoggio al golpe, il conservatore La Nación; di un altro giornale importante, La Razón (con il tempo assorbito da Clarín); e dello sato.
Dopo la morte di David Graiver in agosto, nel settembre del ’76 sua moglie Lidia decise di tornare in Argentina. La coppia, con la loro piccola figlia, aveva vissuto fino ad allora fra Città del Messico e New York. Erano i tempi in cui la dittatura ogni giorni «risucchiava» 50 argentini. Era appena rientrata a Buenos Aires che cominciarono le pressioni su Papel Prensa. Emissari della dittatura le «suggerivano» a chi vendere: Clarín, La Nación, La Razón, stando alla testimonianza di Lidia. La condizione era che il compratore non fosse ebreo.
Un uomo di fiducia di David Graiver, Rafael Ianover – che oggi ha 85 anni -, suo prestanome in Papel Prensa, conferma la versione di Lidia. Mentre lei ascoltava questi «suggerimenti», Ianover cominciava a ricevere le visite delle squadracce militari. Contemporaneamente, secondo un’altra versione abbastanza attendibile, anche i Montoneros stavano addosso a Lidia pretendendo la restituzione di 17 milioni di dollari che la guerriglia avrebbe affidato al banchiere morto.
In questo clima, con La Nación e Clarín che pubblicavano quotidianamente denunce contro Graiver, il 2 novembre ’76 la donna vendette le azioni di Papel Prensa. Stando a quanto scritto da Lidia in un documento presentato da Cristina Kirchner il 24 agosto scorso alla Casa rosada, l’uomo forte di Clarín allora come oggi, Héctor Magnetto, quella notte nella sede della Nación le disse testualmente: «Firmi o le costerà la vita di sua figlia e la sua». Fuori imperversava il terrorismo di stato. Spariva un argentino ogni mezz’ora.
Fino a quando quest’anno Lidia Papaleo si è decisa a parlare, non aveva raccontato a nessuno i particolari della storia.
Per un’impresa che valeva diversi milioni di dollari, la vedova di Graiver ricevette come anticipo 7 mila dollari. E non vide più neanche un centesimo dagli acquirenti. Papel Prensa divenne proprietà di Clarín, La Nación, La Razón e dello stato. Più tardi, una volta tornata la democrazia, la famiglia Graiver avrebbe firmato un accordo di compensazione con lo stato.
La firma del passaggio di proprietà era complessa e Lidia Papaleo concluse l’operazione nella prima settimana di marzo. Il 14 di quel mese fu sequestrata e portata al lager di Puero Vasco.
Il Clarín e La Nación raccontano una storia molto diversa. Il 24 agosto scorso, il giorno in cui il governo ha diffuso il suo rapporto, entrambi i giornali hanno pubblicato un editoriale congiunto: «Una storia inventata per entrare in possesso di Papel Prensa». Secondo la loro versione, la dittatura non sapeva dei vincoli di David Graiver con i Montoneros al momento in cui si realizzò la vendita dell’impresa (novembre ’76), ma i sospetti sorsero dopo (gennaio o febbraio ’77). Entrambi i giornali sostengono che l’impresa si trovava in situazione critica, che Lidia era sotto pressione della guerriglia peronista e che l’acquisto consentì il salvataggio della compagnia.
Con Lidia nel marzo ’77 furono sequestrati il fratello di David, Isidoro, e i suoi genitori, Juan ed Eva, più il prestanome Uanover e altri dirigenti e perfino segretarie.
Il giorno dopo la presentazione del documento «Papel Prensa – La verità», il Clarín e La Nación hanno ricevuto una testimonianza a discarico di peso, anche se piuttosto strana. Isidoro Graiver, anche lui vittima di atrocità durante la detenzione, ha firmato un annuncio a pagamento su entrambi i giornali affermando che la vendita di Papel Prensa era avvenuta proprio come avevano raccontato i due quotidiani.
Ma il giochetto è durato 24 ore. Il giornale Tiempo argentino il giorno dopo ha pubblicato una testimonianza dello stesso Isidoro, registrata l’11 giugno scorso, in cui affermava esattamente il contrario. Il fratello di David aveva denunciato, parlando off-the-record con quel quotidiano, che la vendita avvenne sotto pressione della dittatura e che si era trattato di un AFANO» del Clarín e della Nación. Per qualche ragione Isidoro ha mentito, non si sa se in giugno o in agosto.
In ogni modo, che sia stata una vendita forzata con crimini di lesa umanità (e che potrebbero portare in carcere sia Magnetto sia il suo omologo della Nación Bartolomé Mitre) o una vendita normale, Papel Prensa dal ’77 divenne uno strumento-chiave per il controllo del mercato dei giornali.
Dirigenti di giornali molto diversi fra loro, come l’economico Ámbito financiero, Página 12 (sinistra), Crónica (sensazionalista), Perfil (liberale), e di decine di altri giornali di provincia, hanno denunciato che di fatto Clarín e La Nación hanno utilizzato il monopolio della carta per strangolare la concorrenza. Secondo varie denunce coincienti, chiunque si scontrasse con gli interessi di Clarín, doveva pagare la carta il doppio del prezzo di mercato. Un’inchiesta giudiziaria ha confermato nella sostanza la versione di Lidia Papaleo.
Un cuarto di secolo dopo Cristina Kirchner ha deciso di presentare il documemto «Papel Prensa-La verità» davanti alla giustizia e anche un progetto al Congresso per creare un organismo di controllo che garantisca l’accesso egualitario alla carta, stessi prezzo e disponibilità, per tutti i giornali.
Dopo diversi passaggi azionari Papel Prensa oggi è per il 49% proprietà di Clarín, per il 22% della Nación e per il 28% dello stato. I due principali quotidiani argentini gridano contro il tentativo dei Kirchner di «mettere sotto controllo la parola scritta».
Seguiti da quasi tutta l’opposizione politica, ogni giorno più dipendente dai titoli del Clarín.