«Il suo discorso un insulto all’intelligenza. Sono trent’anni che sceglie il governo»
por andrea em domingo, 30 de janeiro de 2011 às 12:56
Questa volta il telefono squilla e a rispondere viene Ali El Baradei: «Volete parlare con mio fratello? Un momento che chiedo». Lo sentiamo riferire in sottofondo: «È il giornale italiano “La Stampa”, ti avevano già cercato due giorni fa. Che gli dico?». Due secondi dopo riconosciamo la voce che sentivamo all’Onu, quando l’ex capo dell’Aiea negava l’esistenza di armi atomiche in Iraq e si opponeva alla guerra, guadagnandosi il premio Nobel per la pace: «Come vanno le cose in Italia?», scherza Mohammed El Baradei.
Più tranquille che in Egitto, ma lei non è agli arresti domiciliari?
«Così hanno detto le autorità, e ci hanno pure staccato l’acqua. Però oggi le sfido ed esco lo stesso: vediamo cosa succede. Non noto una grande presenza di polizia qui intorno, credo che abbiano annunciato il mio arresto per intimorire i manifestanti. Il messaggio è questo: se prendiamo una persona nota come El Baradei, figuratevi cosa facciamo a voi».
Funzionerà?
«Non credo. La gente oggi è tornata in piazza, e continuerà a farlo fino a quando Mubarak non andrà via».
Il suo discorso e le nuove nomine non l’hanno convinta?
«È stato un’offesa all’intelligenza degli egiziani: parole vuote. Mubarak è al potere da 30 anni e tutti sanno che nomina i membri del governo a suo piacimento. Come può pensare di scaricare tutta la colpa sull’esecutivo, promettere riforme fantasma, ed essere creduto?».
Qual è la soluzione ora?
«Quello che chiede la piazza. Mubarak deve capire che il suo tempo è finito e lasciare pacificamente il potere. A quel punto dovremo costituire un governo di transizione, che sia una coalizione in grado di rappresentare tutta la società. Questo esecutivo dovrà cambiare la costituzione nelle sue parti che negano la democrazia. Una volta completato il lavoro, l’Egitto dovrà andare alle urne per eleggere liberamente il nuovo parlamento e un presidente».
Lei si candida a guidare questo governo di transizione?
«Chiunque ha la buona volontà di credere davvero nella democrazia può essere candidato, ma la scelta compete al popolo».
La gente applaude i militari in strada perché spera che si schiereranno contro Mubarak?
«Lo spero anch’io, forse è la chiave di questa crisi».
Come giudica la protesta?
«È un fenomeno straordinario e spontaneo, che rappresenta davvero tutta la società egiziana. Venerdì, dopo la preghiera nelle moschee, in piazza c’erano ricchi e poveri, persone istruite e analfabeti. Tutte le componenti sociali del Paese hanno manifestato pacificamente un risentimento che cova da tempo, e questo è il motivo per cui Mubarak non può fare finta di niente».
Ci sono state anche violenze, però.
«La colpa è della polizia, che ha reagito in modo atroce. La protesta era pacifica, ma la risposta degli agenti l’ha fatta degenerare. Nonostante questo, a parte qualche saccheggio subito condannato, la stragrande maggioranza dei manifestanti ha continuato solo a esprimere le proprie idee. La violenza si ritorcerà contro Mubarak, così come le vuote parole del suo discorso».
La comunità internazionale teme che l’Egitto precipiti nel caos.
«Ha torto, è una paura senza senso. Perché mai un governo democratico e rappresentativo di tutto il popolo dovrebbe trascinare il Paese verso l’instabilità?».
Perché potrebbe essere guidato dai Fratelli Musulmani, ad esempio.
«Altro timore insensato. Il regime ha usato lo spauracchio dell’estremismo islamico per convincere l’occidente ad appoggiarlo, ipotizzando fantasiose saldature con Al Qaeda, Hamas e l’Iran. I Fratelli Musulmani sono solo un gruppo religioso conservatore, come gli ebrei ortodossi a Gerusalemme e gli evangelici negli Stati Uniti. Rappresentano una minoranza degli egiziani e comunque non avranno la forza di sovvertire la nostra costituzione, che prevede un governo civile alla guida del Paese».
Quindi lei chiede agli Stati Uniti di mollare Mubarak?
«Washington non può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ora deve scegliere. O Mubarak o il popolo. Le due cose non sono più conciliabili. In piazza non si sentono slogan anti americani e io ho molta stima di Obama. Però gli Stati Uniti devono decidere se applicare anche in Egitto i principi democratici che predicano in tutto il mondo. I nostri giovani vogliono solo il sogno americano».
E continuerete ad appoggiare il processo di pace in Israele?
«Noi siamo a favore, ma dovete chiedere a Netanyahu perché il dialogo non procede. C’è risentimento perché gli israeliani occupano terra palestinese e Mubarak è stato un protagonista acritico del negoziato. Così, però, non siamo arrivati ad alcun risultato: anche gli Usa ora hanno la possibilità di rivedere tutta la loro politica in Medio Oriente».
Vuol dire che le proteste in Tunisia e in Egitto rappresentano l’inizio di una nuova era nella regione?
«Lo spero, non è possibile continuare a controllarla con la violenza, la negazione dei diritti e la fame. È ora che anche il mondo arabo entri nel XXI secolo e l’Occidente deve aiutarci a farlo».