Pubblicazione dell’Associazione per l’Interscambio Culturale Italia Brasile Anita e Giuseppe Garibaldi

Il Pd riparta dal caso Fiat

por andrea em sexta-feira, 7 de janeiro de 2011 às 15:46

 

Inutile girarci intorno: il voto anticipato è sempre più probabile e il Pd è sempre più impreparato. Una dopo l’altra sono saltate – o stanno per farlo – tutte le strategie messe in campo. Il governo di transizione è stato definitivamente seppellito dal voto di fiducia del 14 dicembre.
La Santa Alleanza elettorale col neonato Terzo Polo sembra destinata a infrangersi sul no netto di Pierferdinando Casini e su quello più sofferto di Gianfranco Fini, che fa già fatica a convincere parte dei suoi a restare all’opposizione, figuriamoci a trascinarli in un cartello con la sinistra. Degli alleati disponibili, uno – Antonio Di Pietro – è tra le cause principali se oggi l’opposizione non viene percepita come alternativa affidabile a un centrodestra pur derelitto. L’altro – Nichi Vendola – è impegnato in una ossessiva competizione per la premiership: al presidente della Regiona Puglia interessa solo la conta, nella errata convinzione che misurarsi con Pier Luigi Bersani alle primarie sia passaggio sufficiente per poi presentarsi al paese come una coalizione di questo degna di questo nome.
Non sembra però essere, questa drammatica situazione, una buona ragione per prestare credito alla nuova estemporanea fiammata di «vocazione maggioritaria» che Walter Veltroni propone in queste ore: un Pd che se ne andasse solo e sdegnoso alle elezioni, sulla linea marchionnista elaborata dall’ex segretario nella sua lettera alla Stampa, incurante delle percentuali che i sondaggi gli attribuiscono, produrrebbe un unico risultato: impedire lo stallo post-elettorale, dato che Berlusconi e la Lega finirebbero probabilmente per ottenere una insperata maggioranza anche al Senato, oltre che quella – decisamente più a portata di mano – alla Camera.
Apparentemente, è un circolo vizioso dal quale non si vede uscita. Tranne una: tornare a fare consenso. In questa legislatura al Pd non è mai riuscito di invertire la tendenza al ribasso. Tutt’al più, i democratici sono riusciti a guadagnarsi dei momenti di stabilità. Il resto l’ha fatto il Pdl, che precipitando a causa della scissione di Gianfranco Fini e dell’inazione del governo, ha riequilibrato i rapporti di forza e reso meno drammatica la stagnazione di questi mesi. Ma il Pd non è mai parso vicino a un reale rilancio. Non è servito cavalcare gli scandali berlusconiani. Non hanno spostato voti gli scandali giudiziari che hanno colpito la maggioranza. È mancato un tema capace di ribaltare l’agenda mediatica e politica. Ora il caso Fiat è un’occasione importante. Un grande scontro di idee, lontano dal solito ormai stucchevole dibattito su formule astratte e dibattiti ingegneristici. Il compito del Pd non è quello di sostituirsi al sindacato, spiegando se gli operai devono votare sì o no. Né quello di accordarsi agli ultras dell’una o dell’altra fazione. L’ambizione deve essere ridare un ruolo a una politica scavalcata e ignorata, attraverso una presa di posizione che parli a tutti. Soprattutto, che parli. Rifugiarsi in una linea come quella proposta, che vorrebbe dare ragione alla Fiat sull’investimento e alla Fiom sui diritti, significa condannarsi al silenzio. Se il Pd non coglie questa occasione per lanciare un messaggio al paese, difficilmente ce ne saranno altre per tornare a fare consenso. E crescere è l’unico modo per sedersi al tavolo delle alleanze da una posizione di forza. Senza condannarsi a matrimoni forzati. O a nuove folli avventure solitarie.

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