Epifani: “Fiat, ridiscutiamo tutto Pomigliano e investimenti”
por andrea em domingo, 25 de julho de 2010 às 18:08
ROMA – Dovremo rassegnarci ad una Torino senza Fiat, sebbene, come dice Chiamparino, la “T” è parte integrante del marchio automobilistico. Finirà così?
“Non può finire così – risponde il segretario della Cgil Guglielmo Epifani – e non deve finire così. Leggo in questi giorni tante teorie sull’impresa globale ma se poi vai a guardare le altre imprese globali quasi tutte hanno un rapporto con un territorio, con una identità e con una memoria. Vale per le aziende tedesche, francesi, giapponesi ed anche per quelle americane e coreane. Non si capisce perché non debba valere solo per le imprese nate e cresciute in Italia. Vedo, dietro questa rottura con l’identità territoriale, più un’idea finanziaria che industriale”.
Sergio Marchionne sembra scaricare la responsabilità sui sindacati: dice che all’estero farebbero ponti d’oro alla sua azienda.
“In Serbia per la verità i ponti d’oro sono quelli fatti dal governo: finanziamenti, detassasione per 10 anni, sconti sul costo del lavoro, ingresso dello Stato nella società con Fiat con il 25%. Semmai c’è da dire che la differenza la fa il comportamento dei governi. E i governi intervengono attivamente anche in Francia e in Usa”.
Il ministro del Welfare Sacconi vi ha convocati a Torino. Andrà?
“Sì certo, anche se la sede e la forma dell’incontro sono poco convenzionali. Era meglio una sede istituzionale, come Palazzo Chigi”.
C’è la possibilità di un disgelo?
“A due condizioni. Che l’incontro possa portare a dare certezze sugli investimenti in Italia e la difesa dell’occupazione. Inoltre bisogna trovare una modalità per riaprire il confronto su tutti gli stabilimenti italiani, Pomigliano compreso. Non mi convince il fatto che per non provare a riaprire il confronto con Fiom e Cgil si cerchino artifici formali per rendere esigibile l’accordo; artifici che avrebbero più costi e più problemi di quelli che si potrebbero conseguire riaprendo il confronto”.
Allude alla costituzione di una new company per Pomigliano, con l’obiettivo di azzerare tutto, estromettere la Fiom, e ricominciare senza il “vincolo” del contratto nazionale?
“Sarebbe un atto grave e miope. Non riesco a trovare infatti una convenienza a seguire questa strada. Anche perché sono anni che sindacati e Confindustria ragionano su una prospettiva di contratti nazionali più larghi, oltre i settori merceologici, per tenere conto delle trasformazioni e dell’espandersi delle filiere produttive. Su questo ricordo l’impegno prima di Montezemolo e oggi della Marcegaglia”.
Le sembra che Marchionne chieda per Mirafiori quello che ha ottenuto a Pomigliano? Rinuncia a diritti sulla malattia e lo sciopero oppure si va in Serbia?
“Non so cosa voglia davvero la Fiat. Ricordo che solo qualche settimana fa Marchionne aveva detto che si sarebbero prodotte 1,6 milioni vetture in Italia: non si può cambiare idea ogni tre mesi. Vorrei provare una volta tanto a discutere seriamente su “Fabbrica Italia”: è una formula suggestiva che per me vuol dire più investimenti, più qualità nei prodotti, più professionalità, difesa dei diritti e adesione esplicita ai doveri che ne conseguono. Per essere chiari anche sulla produttività e l’efficienza. Ma se, arrivati al dunque, dietro la formula “Fabbrica Italia” si nasconde l’intenzione di toccare dei diritti fondamentali, come quello della responsabilità individuale nel caso di malattia o sciopero, si va oltre il contratto. Si fa una strappo alle leggi e alla Costituzione”.
Il caso dei licenziamenti alla Fiat rappresenta un ostacolo?
“I licenziamenti fatti non sono in realtà motivati. Non sono stati messi in atto comportamenti tali che li giustifichino e anche questo è un tema che va ripreso e su cui anche il governo deve fare la propria parte”.