Pubblicazione dell’Associazione per l’Interscambio Culturale Italia Brasile Anita e Giuseppe Garibaldi

L’ira del premier: dal Colle un intervento a gamba tesa

por andrea em quarta-feira, 7 de setembro de 2011 às 8:17

 

Retromarcia per evitare una censura pubblica del Quirinale
«Siamo rimasti basiti». Nei piani alti del governo, riconoscono che l’intervento di Napolitano sulla manovra («servono misure più efficaci») è stato uno choc. Ancora niente, però, a confronto di quello che il Cavaliere ha passato nella memorabile notte a cavallo tra il 5 e il 6 settembre. Quando i soliti canali diplomatici l’hanno avvertito che dal Colle l’indomani sarebbe arrivato di molto peggio: una pubblica dichiarazione nella quale Napolitano avrebbe denunciato l’inerzia del Cavaliere davanti a una crisi così drammatica.

In pratica, il «de profundis» per un governo incapace di assumersi le proprie responsabilità su Iva, pensioni e rispetto degli impegni assunti con l’Europa. «Avrebbe potuto ricorrere alla moral suasion, invece Napolitano è entrato a gamba tesa», si lamentano a Palazzo Chigi. Pare certo che dietro ci fosse pure Draghi, futuro presidente della Bce, stanco di attendere quanto da due settimane aveva suggerito al governo. Sta di fatto che la minaccia dal Colle ha ottenuto il suo scopo. Berlusconi ha alzato finalmente la testa dalle carte giudiziarie, s’è attaccato al telefono, è volato a Roma dove non metteva piede da 23 giorni, ha riunito il vertice di maggioranza e il Consiglio dei ministri, tutto a tempo di record proprio per scansare i fulmini presidenziali. Dopodiché, Silvio ha avuto il coraggio di sostenere con gli amici che era tutto merito suo. «Ho pilotato io la manovra», si è vantato a sera, «è stato il sottoscritto a convincere Bossi e Tremonti». Napolitano? Sì, certo, il presidente «mi ha dato un aiuto…».

Adesso l’interrogativo è: la terza versione del decreto sarà sufficiente? Oppure l’offensiva contro l’Italia proseguirà imperterrita? Nell’entourage del premier incrociano le dita. Si attendono che la Bce, finalmente accontentata, riprenda a comprare i nostri poveri Btp. Spiegano l’ottimismo: «Lo spread viene deciso a Francoforte». Tremonti, dicono, è alquanto scettico. Anche per questo lui puntava i piedi, non avrebbe cambiato una virgola dell’ultimo decreto. Non ha detto, sia chiaro, che Draghi tira le fila di una congiura politica contro il governo; né Giulio ha indicato in Soros il manovratore dietro le quinte dell’assalto speculativo. Eppure il ministro, durante il vertice a Palazzo Grazioli, ha evocato «manine» e «manone», ambienti politico-finanziari cui non dispiacerebbe che questo governo finisse a zampe per aria. Argomenti che sul nostro premier esercitano sempre una certa suggestione. Giusto ieri gli hanno dato fastidio le critiche dalla Spagna, ma soprattutto quelle della Merkel. «A Berlino non si rendono conto che, se salta l’Italia, crolla l’euro e ci va di mezzo pure la Germania».

L’unica vera certezza (salvo dietrofront) è che «non ci sarà una terza manovra di qui a un mese», giurano tutti i protagonisti della giornata di ieri. «A questo punto basta così», sparge assicurazioni il Cavaliere. Il portavoce Bonaiuti fa due conti: «Ci chiedevano il pareggio di bilancio, ora i saldi saranno perfino meglio di quelli prefissati». Che altro possono pretendere gli investitori? Estratti del Berlusconi-pensiero raccolti: «Abbiamo raschiato il fondo del barile, tutto quello che ci era possibile fare, eccolo qui. Abbiamo tolto alla speculazione ogni alibi. Se si insiste con certe critiche, vuole dire solo che c’è una manovra contro il Paese, contro di noi». Qualunque cosa accada sui mercati, Berlusconi sa di non poter più modificare neppure una virgola, specie sulle pensioni. Bossi lo manderebbe a quel paese, la maggioranza andrebbe in briciole. L’anticipo di due anni per le lavoratrici nel settore privato è il massimo che Berlusconi è riuscito a strappare in una concitata battaglia con la Lega.

Nella telefonata con l’Umberto, lunedì sera, s’era trovato di fronte un muro. Durante il vertice di ieri idem, con l’emissario del Carroccio Calderoli che aveva sul collo il fiato del Senatùr. Nel giro leghista si narra di una telefonata ringhiosa piovuta da Gemonio a Palazzo Grazioli, «che diavolo state combinando lì?». In compenso Berlusconi ha ottenuto dalla Lega disco verde all’aumento dell’Iva. Tremonti è rimasto isolato. Si è arreso solo quando il collega di governo Frattini è uscito di mattina dal Quirinale mettendo in chiaro: «L’appello di Napolitano va preso sul serio». L’accerchiamento di Tremonti è stato completo allorché da Bruxelles ha incominciato a premere perfino Tajani, vicepresidente della Commissione Ue (messo sapientemente in moto da Gianni Letta).

Una trattativa caotica che Berlusconi tenta di minimizzare: «Confusione? Quando il governo si regge su una coalizione di partiti, non può essere diversamente». E poi, teorizza da politologo Quagliariello, «una manovra così importante nella Prima Repubblica avrebbe travolto non uno ma tre governi, mentre noi siamo ancora vivi». Ancora per quanto? Incombe sul Cavaliere lo spettro del governo tecnico, guidato da Monti, o istituzionale (l’attivismo di Schifani viene visto dai «berluscones» con crescente sospetto). Si dà coraggio il premier: «Siamo un governo legittimo, abbiamo la maggioranza nel Parlamento, nessuno può permettersi di far saltare il banco».

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